sabato 5 ottobre 2013

How many roads must a man walk down



Un alveare brulicante di api in movimento, un ronzio che rimbomba all’interno all’interno della mente. La testa piena di pensieri confusi, di voci sovrapposte. 
Tutti sembrano importanti, ogni pensiero tendeva a predominare sull’altro e cosi il brulichio, il fastidioso vibrare delle ali di api si amplifica.
Ma poi si  parte, le gambe iniziano ad andare forzando subito  l’andatura. Impongono un ritmo giusto per la loro resistenza, senza paura di cosa possa succedere, senza temere conseguenze. E’ nel loro istinto, la falcata ora è  piena, una gamba segue l’altra con agilità e freschezza, decise a forzare ancora di più l’andatura. Il fiato reagisce prontamente. Il ritmo ripetitivo delle gambe è seguito dal suono ovattato della respirazione. La macchina ora è finalmente in moto, ogni pezzo si muove in sinergia con l’altro, ogni ritmico oscillare è accompagnato da un compagno di viaggio. Solo la mente è ancora indietro, quel brulichio di api ancora non si è assopito.  
Il corpo ora domina la mente,  le impone di uscire da quel labirinto di pensieri e di concentrarsi esclusivamente su “l’ora, sull’adesso, su ciò che accade in questo istante”.  Lentamente, anche la mente perde le sue zavorre, in questo momento l’unico vero problema reale è controllare il corpo, mantenere una andatura regolare e dosare l'energie. I due mondi finalmente si ritrovano, nessuno eclissa più l’altro. Mente e corpo tornano ad essere un'unica cosa, sono di nuovo in sinergia tra loro e l'assurda dualità decade.









domenica 1 settembre 2013

Segnali dal profondo




In fondo, ognuno è sempre e solo se stesso, anche se cerca di non vederlo. Siamo solo noi sempre solo noi, i nostri unici e immancabili compagni di viaggio. Possiamo far finta di non esserlo, possiamo fare finta di non essere nessuno o meglio ancora di non essere ciò che da dentro ci pulsa. Possiamo rinnegare la nostra essenza, possiamo vivere all’eccesso o comunque lontano dalla nostra armonica fondamentale ma in fondo qualcosa dentro di noi ci pulsa come una quasar e ci manda segnali, come dallo spazio profondo per comunicare con noi, per comunicare a noi stessi la verità per renderci finalmente liberi da tutto ciò che imprigiona il nostro animo, da tutto ciò che ci fa soffrire, da tutto quello che ci imprigiona la mente e ci tarpa le ali per volare verso la pace.

Più ci aggrappiamo alla vita per cogliere attimi di felicità e di gioia e più queste ci passano attraverso. Come mani usate per raccogliere l’acqua, rivoli di felicità e soprattutto di serenità attraversano le nostre dita incapaci di trattenerla. Con la sete che incalza dentro di noi, tuffiamo di nuovo le nostre mani nella vita per carpire almeno adesso un piccolo spicchio di pace ma ancora una volta tutto ci scivola via,  nulla riusciamo a trattenere veramente a lungo. Lo sgomento, la paura di non essere mai felici si diffonde in noi come un edera avvolge un albero succhiandogli le forze. Cosi in una corsa senza tregua tra la nostra sete di felicità, tanto propinata dalla società, e la nostra incapacità di coglierla, di trattenerla ma soprattutto di saperla riconoscere, finiamo angosciati a terra stremati ancora di più dal continuo paragone con l’altro, che inevitabilmente ci perseguita.

Ma poi in alcuni momenti completamente estemporanei, in momenti in cui l’assoluto è per un attimo dentro di noi, in quei momenti riusciamo a cogliere la bellezza della vita, la bellezza della nostra essenza, incontriamo di nuovo noi stessi sul sentiero. In realtà siamo stati sempre l’uno accanto all’altro, l’uno vicino all’altro ma come fosse un fantasma, lo abbiamo ignorato. In quel momento allora le cose cambiano, l’armonica fondamentale vibra dentro di noi si innalza nell’etere e avvolge tutti noi. Ora siamo ciò che siamo, ora siamo adesso ciò che volgiamo essere. Unico essere in grado di assaporare in un attimo la nostra essenza, il nostro perché, la nostra causa ultima.
Ora nulla ci può distogliere dal viaggio, ora nessuno stereotipo di vita propinato da qualcun altro può davvero destabilizzarsi. Siamo come siamo, siamo l’unico essere che possiamo e che dobbiamo essere. Forse la frase cattolica di uno e trino ha come origine proprio questo concetto, racchiudere in se tutti gli aspetti