martedì 3 novembre 2015

Scorci di incoerenza trafitti dal un raggio di sole



Alzarsi la mattina presto, scendere per la città e immergergli per le viuzze del centro, svegliati dalla pungente brezza mattutina. Percorrere delicatamente e silenziosamente vicolo dopo vicolo, attraversare piazza dopo piazza, immersi nel fresco sgorgare dell’acqua delle fontane romane. Notare come a poco a poco la città si sveglia e prende vita. Una persona, solo apparentemente anziana, si sveglia da sotto un portico di una chiesa e raccatta con cura e dedizione i suoi pochi averi.

Percorrere pochi passi ancora e imbattersi in un placido torrente di vesti nere, contornati da colletti bianchi, che come tanti soldatini si affrettano per arrivare verso una destinazione comune. Gli stessi che esaltano nei loro discorsi della domenica mattina la povertà di un giovane 33 enne vissuto 2015 anni prima. Gli stessi che oltrepasseranno, questa mattina e le altre che seguiranno, con lo sguardo, con il pensiero e con il cuore, il giovane anziano accolto dal freddo portico di travertino del sacro luogo.

Percorrere ancora qualche metro, svoltare a destra e imboccare una stradina lastricata dai famosi sanpietrini, ognuno diverso dell’altro, cosi caratteristici nel centro citta. Scorgere in lontananza, una donna con un cane fermi in attesa di qualcosa. Pochi instanti dopo notare il chinarsi della donna che raccoglie qualcosa e se lo porta gelosamente via. Notare, avvicinandosi, la rassegnazione della donna, immigrata da qualche altro continente, nel suo quotidiano compito mattutino assegnatole dal suo datore di lavoro. Chi sa se si aspettava di dover curarsi di un cane di un uomo occidentale che ama avere il cane ma non ama il cane e che delega la cura del fedele compagno a una persona che ne farebbe decisamente a meno, non essendo un bene di prima necessità.

Il vicolo inforcato si interseca con una strada principale riservata solo a chi è residente, tranne però alle macchine tinte di blu scuro. Quelle non hanno problemi, quelle possono andare e venire come vogliono, guidate da altezzosi autisti in black e riempite solo per un quarto. Come gli occupanti, anche le macchine hanno accesso a tutto, possono arrivare dove gli altri cittadini non possono e non devono arrivare. I passeggeri delle black –cars sono gli stessi che alle otto di sera scorgi sui tg nazionali e si riempiono la bocca di parole nobilissime come democrazia, legalità e uguaglianza. Gli stessi che ti riempiono le orecchie di parole dallo slang anglofono per dire poco più del nulla e carpire la tua attenzione su cose futili. Allo stesso modo di come, qualche secolo prima  qualcuno riempiva le menti, ingenue e pure, di cantilene in lingua arcaica.

Il semaforo ora è verde per i pedoni, almeno per ora le black-cars si devono fermare, si procede così verso l’ennesimo vicolo che costeggia l’edificio di una scuola. In lontananza, si sente la sottile voce di un bambino e di sua madre, che si avvicinano. Il bimbo saltella giocherellando, felicemente contento del suo primo giorno di scuola. Il suo pensiero si riflette completamente nelle parole che rivolge alla madre, le sue speranze per questo primo giorno sono grandi, i sui sogni sono cristallini e il suo futuro è tutto da costruire. La madre lo ascolta amorevolmente e sogna affettuosamente con lui di come sarà questo primo grande giorno della sua vita. 

Le nuvole si sono a poco a poco dissolte, il cielo è di nuovo terso, il sole, nonostante tutto, scalda ancora l’animo umano.


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